È rischioso avventurarsi sui laghi salati: la crosta cede e lascia sprofondare le ruote in un fango argilloso che quando si secca blocca il veicolo.
Mentre Marco legge questa frase sulla nostra guida turistica, il Toyota Landcruiser comincia a sprofondare. Siamo sul lago Cadibarrawirracanna, che ha come unica caratteristica di interesse turistico quella di essere il lago australiano con il nome più lungo. “Non è grave” – penso io. È agosto e siamo circa a metà del nostro itinerario dopo essere partiti da Perth con una jeep camperizzata presa a noleggio dal network Britz per un viaggio che ci porterà in giro per l’Australia per 9000 chilometri. Abbiamo già percorso la costa ovest e tagliato il “Red Centre” australiano, optando, quando possibile per piste fuoristrada. E anche ora siamo fuoristrada. Nel senso letterale del termine… la strada è terminata nel lago prosciugato e non ce ne siamo accorti. Ma “non è grave” – penso ancora io. Esco a vedere com’è la situazione.
Siamo abbastanza impantanati, ma con un po’ di manovre forse ce la faccio. Un po’ avanti, un po’ indietro…. La macchina sembra muoversi. Parte, facciamo qualche metro e risprofondiamo. Fermi. Bloccati. Sperduti nel nulla. Fuori da qualsiasi rotta turistica. Cerchiamo degli arbusti per creare un po’ di grip sotto le ruote. Utilizziamo i tappetini dell’auto. Niente da fare. Ogni tentativo per uscire dall’impantanamento ha come effetto quello di scavare ancora di più. Finché il fondo dell’auto non appoggia sulla superficie. Splendido davvero. È l’una del pomeriggio. Analizziamo la situazione con calma. Abbiamo un’abbondante riserva d’acqua, sufficiente anche per una settimana, 5 chili di spaghetti e un po’ di scatolame vario. Niente panico, allora. “Non ci rimane che aspettare che qualcuno venga a salvarci” – dico io.
In Australia è inverno, ma qui siamo già sufficientemente a sud per avere una temperatura gradevole: 20-22 gradi C di giorno e intorno ai 10° C la notte.
Le mosche sono insopportabili e fastidioso è il vento che spira senza sosta. Ci alleniamo un po’ con il boomerang. Divertente. E non è così difficile farlo tornare al punto di lancio. Ma è decisamente rischioso per le dita cercare di prenderlo al volo! Sono già passate tre ore. Io mi lascio trasportare nel medioevo da Ken Follett con il suo “I Pilastri della Terra” un tomo da oltre 1000 pagine. L’ottimismo prevale. C’è acqua, cibo e anche un libro appassionante. Ma sì, che ci passa. Arrivano le 18 e cala il buio. Una bella spaghettata, due chiacchiere tra amici e a letto presto. La ricetta giusta per essere in forma la mattina seguente.
Alle 8 del mattino un buon caffè con la moka e siamo pronti a essere salvati. Passa la prima ora. Cominciamo a dubitare. L’allegria lascia il posto alla preoccupazione. “Ma chi viene a vedere questo spiazzo desertico, defilato e senza alcuna attrattiva?”. Ci malediciamo per aver risparmiato sul telefono satellitare che, per un costo di noleggio risibile, poteva far parte del nostro equipaggiamento. Allora, ci viene un’idea. Scriviamo con un pezzo di legno una grande scritta nella terra argillosa: SOS. Non passa più di un’ora ed ecco il rumore di un aereo da turismo che vola a bassa quota. Ci sbracciamo, urliamo, saltiamo. L’aereo fa un giro sopra le nostre teste…. ci ha visti! Evviva siamo salvi. Siamo allegri, eccitati, ma anche impazienti. Arriva l’una del pomeriggio. Sono 24 ore che siamo bloccati “in the middle of nowhere”. Non ne possiamo più. “Mai allontanarsi dalla macchina” recita la guida. Eppure siamo stufi. C’è una strada. Saranno 10, 15 forse 20 chilometri prima di arrivare alla Oodnadatta Road. Ci proviamo? Sì. Eccoci con una copiosa scorta d’acqua a camminare nel deserto. Sono ormai le 14 e 30, quando vediamo sfrecciare tre jeep sulla stradina di fronte a noi. “Siamo qui!” Non ci vedono. Corriamo. Corriamo ancora più forte. Li raggiungiamo dopo un po’. Sono fermi a distanza di sicurezza dalla nostra jeep… mica scemi… loro! “Ciao ragazzi, siamo venuti a salvarvi”! Sono passate 27 ore.
Si tratta di un gruppo di australiani appassionati di off road che hanno letto un fax diramato dalla polizia a tutti i pub dei dintorni. Iniziano quindi le non facili operazioni di soccorso. Prima di tutto bisogna scavare sotto tutte e quattro le ruote. Poi rigonfiarle! “È nella sabbia che vanno sgonfiate… non nel fango!” ci sbeffeggiano.
Ed ecco spuntare uno strumento risolutivo: un pallone che si gonfia con il tubo di scappamento. Lo sistemano vicino alla ruota posteriore destra e man mano che il pallone si gonfia la macchina si solleva. Nel cratere sotto il pneumatico viene alloggiata la ruota di scorta. Ci siamo quasi. E ora l’argano elettrico. Finalmente, la nostra macchina riemerge dal fango mentre noi urliamo il nostro entusiasmo. “Ci avete salvato la vita! Diteci quanto vi dobbiamo per l’intervento, saranno i soldi meglio spesi di tutta la vacanza!”. “Ma noi non vogliamo nulla!” ci rispondono offrendoci la birra più gustosa e rinfrescante che abbia mai bevuto in vita mia.
Antonio Mazzucchelli